La situazione migratoria dall'Italia verso la Corsica parte 2:
Di seguito la storia di uno dei tanti lavoratori ad aver percorso il tragitto tra la Corsica e l'italia.

Mio nonno da parte di padre, Raimondo Pardini, morto quando io avevo 12 anni [1941] a un'età che doveva essere fra i 75 e gli 80, viveva a Piano di Conca, una frazione di Massarosa, zona allora poverissima, piena di paludi, che avevano cominciato a bonificare da poco.
Il mio nonno faceva il mezzadro nei terreni del più grosso proprietario terriero della zona. Stava in una baracca di legno, che non era neppure di sua proprietà. Lavorava due campicelli e non ce la faceva a sfamare la famiglia, moglie e tre figli (pochi per quei tempi).
Così, per diversi anni (io l'ho sentito raccontare) a novembre prendeva la nave a Livorno e partiva per la Corsica a fare il boscaiolo per quattro mesi. Ci andava da solo e con sé portava poche cose, fra queste il paiolo, dove cucinava tutti i giorni o polenta nera di "neccio" o polenta gialla di granturco.
Era sempre solo, anche a lavorare. Qualche volta, quando metteva la tagliola e aveva fortuna, prendeva qualche animale e mangiava carne. Come facesse a lavorare così duro mangiando così poco, non lo so. Per dormire, si era fatto una baracchetta di legno e frasche nel bosco.
Alla fine dei quattro mesi, gli davano la paga: due o tre sacchi di granturco. E con quella paga tornava a Piano di Conca. Quello che mi colpiva di più, era che diceva sempre: «Il seme non si mangia». C'era un sacco di granturco che nessuno doveva toccare, neanche avesse la fame più nera, perché doveva servire da seme. Il pane, allora, a casa nostra, non esisteva.
Dopo qualche anno di questa vita, riuscì a comprarsi una vacca, che stava in una stalla della stessa baracca di legno di Piano di Conca.
Il cambiamento è venuto con la generazione del mio babbo, che era andato a lavorare con i primi fiorai della zona. Capì che la strada dei fiori poteva andare avanti... e piano piano si fece una serra.
Mi sembra però che la vita del nonno, nonostante la miseria, fosse più umana. Ricordo che a volte andava a cercarmi negli alberi del padrone una melina di scarto, che chiamavamo il "gavizzorin": per noi bambini era un lusso! Insomma, era una vita di sacrificio. Allora si lavorava per vivere, o almeno per mangiare. Oggi, con i fiori e le serre computerizzate, col commercio globalizzato delle multinazionali, si vive per lavorare e non c'è tempo per l'umanità».
Testimonianza raccolta da Tina Fineschi il 16 ottobre 2007 a Chiusi (SI). Il testo rispecchia quasi fedelmente le parole così come venivano pronunciate (dunque la forma non è perfetta). Il protagonista del racconto è il nonno dell'intervistata, che dovette recarsi in Corsica per sopravvivere. L'epoca a cui si riferiscono i fatti è collocabile a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

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